Il Conte di Montecristo, un altro film
Jean Angelo, Robert Donat, Pierre Richard-Willm, Pierre Brasseur, Jean Marais, Louis Jourdan, Gérard Depardieu, ma anche Andrea Giordana, Richard Chamberlain, Jim Caviezel. Cos’hanno in comune questi (e sicuramente altri) attori? Dai tempi del muto agli anni più recenti, nella loro carriera hanno interpretato il ruolo di Edmond Dantès, il protagonista del romanzo Il Conte di Montecristo di Alessandro Dumas padre e delle sue numerosissime trasposizioni e dattamenti per il cinema, la tv e le piattaforme di streaming. L’ultimo, per ora, è Pierre Ninai, che indossa abiti e stivali di Dantès in Le Comte de Monte-Cristo scritto e diretto a quattro mani da Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière.
Presentato in anteprima mondiale nella sezione Fuori Concorso del Festival di Cannes 2024 a maggio, il film è stato distribuito in pompa magna nelle sale francesi (dove resiste tutt’ora) il 28 giugno da Pathé. Ma che c’entra con la Provenza?
Che c’entra Il Conte di Montecristo con la Provenza?
È per via del turismo cinematografico: un film che in Francia è stato visto da oltre 8 milioni di spettatori, e che ha incassato oltre 72 milioni di dollari in tutto il mondo, ha scatenato i fan a caccia delle location sulle tracce di Pierre Ninai / Edmond Dantès tra Parigi, il Sud dell’Esagono e Malta (dove è stata girata, in particolare, la prima scena del film, che peraltro nella finzione è ambientata a Marsiglia).
Nella narrazione di Dumas, Dantès sconta una lunga e dura prigionia nella fortezza dello Château d’If, la più nota delle isole del Frioul al largo della città focese. La produzione ha scelto di girare le relative scene nel vero castello, realizzato in origine come fortificazione a protezione di Marsiglia.
Lo Château d'If, meta turistica top
Lo Château d'If – una struttura lunga 300 metri e larga 180, con vista mare panoramica e brezza marina a volontà – era la prigione perfetta, e come tale fu utilizzato dal XVI al XX secolo. Circondato dall'acqua come un’Alcatraz del Mare Nostrum, fuggire era praticamente impossibile.
Oggi l’isola e il suo forte si possono raggiungere facilmente in battello dal Vieux Port, in fondo alla Canebière, con due compagnie marittime: tutto l’anno con Le bateau Frioul If e da aprile a ottobre anche con Calanques If (biglietto combinato navetta+visita).
A quanto pare, dall’uscita del film il numero dei visitatori è cresciuto del 30%.
Quando lo Château d'If era una prigione davvero
Lo Château d'If accoglieva i prigionieri soprattutto in occasioni particolari, come gli episodi rivoluzionari, o semplicemente quando le carceri di Marsiglia erano stracolme. Ancor più che ad assassini, ladri, vagabondi e delinquenti di sorta, l’isola-prigione era destinata ai e a tutte le figure “scomode” per le autorità e i potenti di turno: storia o leggenda narrano di un cittadino imprigionato qui perché ebbe la malaugurata idea, o forse fu una dimenticanza, di non togliersi il cappello alla presenza di Luigi XIV, il Re Sole.
Per 400 anni, nello Château d'If furono effettivamente rinchiusi diversi prigionieri, più o meno celebri e più o meno… colpevoli: a inaugurare la tradizione furono due pescatori di Marsiglia.
Tra gli altri, passarono ben più di una notte al castello: il mercante ugonotto Élie Neau; il capitano Jean-Baptiste Chataud, accusato ingiustamente di aver portato la peste a Marsiglia insieme al carico della sua nave; l’aristocratico provenzale Honoré Gabriel Riqueti, conte di Mirabeau, scrittore, politico, diplomatico, militare, rivoluzionario della prima ora e… libertino: pare avesse sedotto anche la donna incaricata di somministrargli i pasti durante la reclusione; il politico Michel Mathieu Lecointe-Puyraveau; il leader della Comune di Parigi Gaston Crémieux (1871); ma anche alcuni protestanti e i rivoluzionari del 1848, oltre ai prigionieri tedeschi della Prima Guerra Mondiale.
Château d'If, cul de tour o cella vista mare?
Lo Château d'If non riservava a tutti i suoi inquilini la stessa accoglienza.
Le condizioni più dure toccavano a chi soggiornava nelle parti interrate, i cosiddetti culs de tour: spazi bui e umidi, pieni di parassiti e rifiuti, dove l'aspettativa di vita era nell’ordine di pochi mesi, se non di settimane.
Il piano terra era dedicato invece alle prigioni collettive: affollate, sì, ma con un po’ di luce proveniente dall’esterno e, nel cortile, la cisterna per dissetarsi e provvedere all’igiene.
Al primo piano, infine, le “chambres passables”, corrispondenti agli ex alloggi degli ufficiali di guarnigione: celle individuali, in parte arredate, alcune dotate anche di camino, che permettevano ai prigionieri più ricchi di alleviare le condizioni di detenzione. Denaro contante – non tracciabile – per procurarsi un trattamento da business class.