Nîmes, il confine come sintesi
Nîmes è una città di confine, certamente nell’accezione più bella che si può dare al termine. Un “confine” che non è “periferia”, ma è “sintesi” di un di qua e di un di là.
Amministrativamente, Nîmes non è Provenza ma, al di là delle contingenze politico-burocratiche che non sono mai immutabili, c’è il Rodano che è una “frontiera” innegabile e che mette da un lato Arles e dall’altro Nîmes
Anzi, il Rodano fa di peggio: a pochi chilometri di distanza da qui, mette due città di fronte, separate da un ponte, Tarascona e Beaucaire: una di qua, una di là; una Bouches-du-Rhône (Sud Provenza-Alpi-Costa Azzurra), l’altra Gard (ex Languedoc-Roussillon, oggi Occitania).
A sua parziale ma non trascurabile discolpa, va detto che il fiume, irrigando l’omonima valle, favorisce su entrambe le sponde la cultura della vigna e la produzione dell’ottimo vino che prende il suo nome, il Côtes du Rhône.
Nîmes, Provenza o non Provenza?
Nîmes è Provenza – a dispetto di amministrazioni e fiumi – perché la Provenza non è di per sé confinabile. Nîmes è a pieno titolo una delle “città bianche” provenzali raccontate da Joseph Roth. Anzi, a dirla tutta, nella prima stesura del libro c’è Nîmes e non ci sono ancora le “provenzali doc” Avignone e Arles.
È Provenza per il bianco della sua pietra, appunto; per i colori e per il vento, come ci dice Marie-Claude Thomas, la nostra competentissima e apassionata guida in città.
Non è Provenza – aggiungo io – perché l’atmosfera di alcune strade del centro storico, recuperato benissimo negli ultimi anni, rimanda più a Parigi che a Marsiglia.
Tutte le strade portano a Nîmes
Ma il “confine” di Nîmes non si gioca solo sulle due sponde del Rodano; è molto più ampio. Nîmes è stata certamente uno dei confini dell’impero romano.
D’altra parte, la Via Domizia – la strada consolare che parte da Roma – attraversa la Provenza, raggiunge Nîmes e la oltrepassa (una volta le grandi opere di collegamento si riusciva a farle); il Pont du Gard, il possente acquedotto della prima metà del I secolo d.C., portava l’acqua da Uzès a Nîmes; il tempio detto Maison Carrée è a Nîmes e l’arena anche, e guai a considerarla un doppione di quella di Arles.
È monsieur Daniel Valade, l’assessore cittadino alla cultura con cui ci intratteniamo piacevolmente a colazione sulla terrazza del Musée de la Romanité (da cui la vista sull’arena è impareggiabile), che ci racconta tutte queste cose.
Non arriva a concludere che la “Provenza” è una sorta di corridoio obbligato che i romani hanno dovuto percorrere per arrivare a fondare Nîmes, uno dei più begli insediamenti dell’impero, ma un po’ glielo si legge negli occhi (quel pizzico di immancabile grandeur francese su scala locale).
Nîmes tra moda e architettura
Già ai tempi dei gladiatori Nîmes fu confine tra la civiltà romana e quella gallica che abitava l’insediamento. Ma, ancora una volta, un confine di integrazione e di sintesi, perché i romani lasciarono gli indigeni liberi di continuare ad adorare quale loro divinità la sorgente che dava acqua alla città.
Una vocazione, quella di essere confine, che continua nel tempo. Confine nella moda, ad esempio, perché è a Nîmes che nasce – quanti lo sanno? – “l’americanissimo” tessuto dei jeans, quel “denim” che altro non è che una contrazione di “de Nîmes”.
Confine architettonico, per la scelta coraggiosa e indovinata di accostare l’antico e il contemporaneo: l’avveniristico Musée de la Romanité (progettato da Elizabeth de Portzamparc), posto simbolicamente sulla traiettoria della cinta muraria romana costruito di fronte all’arena. Così come il museo d’arte contemporanea e biblioteca (tutto vetro e acciaio) che replica nella pianta rettangolare e nel nome – Carré d’Art vs Maison Carrée – il tempio romano con cui condivide la medesima piazza.
Nîmes, per dirla con Guccini
Alla fine, se Nîmes sia in Provenza oppure no, appare un dettaglio insignificante. Nîmes potrebbe essere ovunque, e ovunque sarebbe una straordinaria “città di confine” da vedere, vivere e, inevitabilmente, amare. Un po’ come la Bologna cantata da Guccini, “col seno sul piano padano ed il culo sui colli, […] già un poco Romagna e in odor di Toscana”.
Maurizio Tucci