Stai leggendo

Le bories e la pietra a secco del Vaucluse

Le bories e la pietra a secco del Vaucluse

Muretti, terrazzamenti, depositi di pietre e migliaia di capanne: tracce della Provenza di 300 anni fa.

Quei muri di pietre bianche in Provenza

Il villaggio delle bories a Gordes, restaurato con grande cura; le rovine dell' Enclos des Bories a Bonnieux; il muro della peste, eretto per proteggere le terre papali dal terribile flagello che devastò la Provenza; il giardino d'inverno delle terrazze a Goult; una passeggiata a Fontaine-de-Vaucluse, dove curiose chiazze bianche fanno capolino qua e là tra le colline...

La tecnica della pietra a secco, che consiste nel costruire posando pietre una sull’altra senza né calce né altro legante, è utilizzata in diversi Paesi dell'Europa meridionale, ma in Provenza, e specialmente nella zona del Vaucluse, è particolarmente diffusa: i paesaggi scoscesi e la necessità di rimuovere le pietre dal terreno per coltivarlo ne hanno fatto uno dei luoghi di maggiore concentrazione.

L’uomo ha utilizzato le pietre per costruire chilometri di muretti, restanques (terrazze), recinti, vasche per l’acqua utilizzate come cisterne naturali per irrigare la terra, e migliaia di capanne, che qui prendono il nome di bories: il Parco Naturale Regionale del Luberon ne conta, da solo, ben 1610.

L'ingresso di una borie

La vita dei contadini e dei pastori, dura come la pietra

Le bories e le altre costruzioni di pietra a secco riflettono una fase specifica della società provenzale e dell’economia dalla zona.

Nel 17° e 18° secolo la regione, come del resto l’intera Francia, deve far fronte alla crescita demografica e inizia una sorta di corsa alle terre per evitare l’incombente carestia del grano. È in questo periodo che le colline e gli altopiani assumono un nuovo volto, punteggiato di bianco.

Ai contadini più poveri, ai braccianti e a tutta una popolazione in condizioni di fragilità viene permesso di acquistare terre libere e incolte, spesso lontane dai villaggi o dalle pianure più fertili. A forza di lavorare e disboscare, costoro riescono a strappare nuove terre alla foresta e alla boscaglia.

Durante la creazione dei loro nuovi appezzamenti da coltivare, strappano dal terreno arido le pietre e si rendono conto che sono una risorsa: un materiale quasi inesauribile, che non costa niente, non richiede trasporto, è relativamente facile da estrarre e agevole da modellare, e non subisce gli effetti del gelo. Un materiale perfetto per la costruzione.

La tecnica della pietra a secco

Un duro lavoro e un sapere ancestrale

Con la pietra, un duro lavoro e il sapere ancestrale della tecnica a secco, a cavallo ‘600 e ‘700 i provenzali realizzano migliaia di costruzioni sui pendii delle montagne del Luberon e dei Monts de Vaucluse, cambiando notevolmente la morfologia e l'identità del paesaggio: clapas (cumuli di pietre ai margini dei campi), restanques (terrazze), muri di contenimento, recinzioni, muri che delimitano i campi o incorniciano chilometri di sentieri, aiguiers (bacini scavati nella roccia per raccogliere l’acqua), apiès (incavi per ospitare gli alveari delle api), capanne o bories...

La campagna del Luberon ospita ancora esempi notevoli di questa architettura in disuso, ora raccolti in agglomerati di una certa dimensione, ora isolati nel bel mezzo dei campi e delle colline.

Gli apiès di pietra a secco, incavi per ospitare gli alveari

Il Villaggio delle Bories di Gordes

Sulle prime pendici dei Monts de Vaucluse, di fronte al Luberon, il Village des Bories, con i suoi ovili, i forni per il pane, i tini per il vino, le aie per il grano, i recinti per gli animali e le mura di cinta, testimonia un'importante attività agricola e pastorale.

Il Village des Bories, classificato come monumento storico nel 1977, è il più importante raggruppamento di questo habitat in pietra a secco caratteristico della regione di Apt: nella zona di Gordes la concentrazione è altissima, si contano più di 400 bories.

Abbandonate alla fine del XIX secolo, le capanne si ricoprono di vegetazione e loro bei tetti in ardesia vengono saccheggiati. Un destino che, fortunatamente, si capovolge negli anni Sessanta, quando Pierre Viala acquista il terreno e una fattoria nella frazione di Gordes chiamata Les Cabanes e comincia a restaurare queste costruzioni atipiche. È grazie a lui che oggi possiamo vistare questo sito, organizzato come un museo dell'edilizia rurale, che ospita una collezione di oggetti e strumenti tradizionali della regione e raccoglie una documentazione notevole sul passato di Gordes, sulle bories e sull'architettura in pietra a secco in Francia e nel mondo.

Scoprire il Village des Bories e comprendere il forte legame tra l'uomo e la terra è un tutt’uno.

Gordes, Village des Bories © Vaucluse Provence Attractivité

L'Enclos des Bories di Bonnieux

Natura analoga al Village des Bories di Gordes è quella dell'Enclos des Bories di Bonnieux, che si raggiunge imboccando una strada sterrata nella boscaglia lungo la strada che porta alla Foresta dei Cedri, poco fuori dal borgo. Se l’approccio di Gordes al suo patrimonio di pietra a secco è piuttosto documentale, l’effetto che si ha raggiungendo l’agglomerato delle bories nei pressi di Bonnieux è straniante.

Anche qui, né cimitero né chiesa, perché si tratta sempre di abitazioni e architetture temporanee legate al lavoro agricolo stagionale, ma la sensazione – dovuta anche alla presenza di un robusto muro difensivo – è che la permanenza degli antichi abitanti fosse, comunque, non breve.

Più “selvaggio” dell’omologo gordesiano, il sito dell'Enclos des Bories dà l’impressione di uscire dal tempo, almeno fino a che non ci si ritrova su una terrazza naturale affacciata su Bonnieux e sulla vallata. Lo sguardo si allunga fino all’orizzonte e il colpo d’occhio permette di individuare il castello di Lacoste e altri villaggi del Luberon in lontananza.

Bonnieux, Enclos des Bories,dentro le pietre

Il muro della peste

Altro esempio notevole della tecnica della pietra a secco in Provenza è il cosiddetto Muro della Peste, un bastione costruito sulle montagne del Vaucluse per proteggere il Comtat Venaissin dalla peste che colpì Marsiglia e parte della Provenza nel 1720-1722.

Il muro si allunga per 27 chilometri ed è intervallato dalle garitte, sempre in pietra a secco, che ospitavano le guardie incaricate di garantire l’inviolabilità dell’improbabile barriera.

A definire il percorso è l'architetto, ingegnere e cartografo Antoine d'Allemand. Nel suo Mémoire des ouvrages que j'ai faits et ordonnés depuis 1700 (Memorandum dei lavori che ho eseguito e ordinato dal 1700), conservato nella pregevole biblioteca Inguimbertina di Carpentras, scrive:

Nel 1720 ho tracciato da Saint-Hubert a Saint-Ferreol i limiti tra il Comtat Venaissin e la Provenza, una linea di 18.000 toises [unità di misura dell’epoca, ndr] di cui 6.000 toises con un parapetto di terra e un fossato davanti, e 2.000 toises con muri di pietra a secco. […] Nel 1720 [ho fatto] il piano di questa linea da Saint-Hubert a Saint-Ferréol e da lì seguendo la Durance fino alla foce nel Rodano e risalendo il Rodano fino ad Avignone, che è lunga 14 leghe

A prendersi cura di alcuni tratti del muro della peste è oggi l'Association Pierre sèche en Vaucluse.

Il panorama che si apre sui monti del Vaucluse in direzione del Ventoux. In primo piano, una garitta davanti al muro della peste - Foto © Lacaille

ABBONATI ALLA NOSTRA NEWSLETTER