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Violetta batte Provenza 1 a 0

Violetta batte Provenza 1 a 0

Nella Traviata di Giuseppe Verdi, Giorgio Germont cerca di convincere il figlio a lasciare l'amata Violetta per tornare nella sua Provenza, il "natio fulgente sol". Ma al cuore non si comanda.

Di Provenza il mar, il suol…

Comincia così una delle più celebri arie della Traviata che Giuseppe Verdi mise in musica, su libretto di Francesco Maria Piave. Nel secondo atto il baritono che impersona Giorgio Germont la canta al figlio, Alfredo, per indurlo a tornare a casa, nella sua Provenza, appunto.

Tutta la storia è arcinota. Una storia per’altro tratta dall’altrettanto famoso romanzo di Alexandre Dumas (figlio), La signora delle camelie (1848).

Violetta e Alfredo, un amore 'disdicevole'

Maria Callas interpreta Violetta ne La Traviata - Foto © Houston Rogers - Wikimedia Commons

Quello tra Violetta e Alfredo - che nel romanzo di Dumas sono Margherita Gautier e Armando Duval - è uno di quegli amori così in voga nell’ottocento e nel quale pare sia rintracciabile anche un riferimento autobiografico dello stesso Verdi. Una tipologia d’amore diffuso, sì, ma non privo di rigide censure sociali in un’epoca in cui i costumi borghesi erano improntati a forte conformismo e ipocrisia.

Tant’è che la prima rappresentazione alla Fenice di Venezia, il 6 marzo 1853, non fu un vero successo a causa, pare, non solo di interpreti non molto validi, ma anche dell’argomento ritenuto scabroso.

Questo esito indusse Verdi a rivedere e rimaneggiare alquanto l’opera, spostandone anche l’ambientazione nel XVIII secolo. Rimandata in scena l’anno successivo ancora a Venezia, al teatro San Benedetto, riscosse finalmente il meritato successo che si estese ai maggiori teatri d’Italia.

Provenza, il "natio fuggente sol"

Di Provenza il mar, il suol
chi dal cor ti cancellò?
Al natio fulgente sol
qual destino ti furò?
Oh, rammenta pur nel duol
ch’ivi gioia a te brillò;
E che pace colà sol
su te splendere ancor può.
Dio mi guidò!

Nell’opera verdiana, così come nel romanzo di Dumas, la protagonista è una donna 'libera', laddove il termine rimanda a legami per così dire non convenzionali e alquanto mutevoli, piuttosto che a una sostanziale libertà di cui una donna dell’epoca difficilmente poteva godere.

Il che non impediva alla miglior aristocrazia del tempo di frequentare i salotti dove avrebbe potuto incontrare queste dame.

Quel che interessava, e a questo era volta la censura sociale, era che non si uscisse dal 'recinto' precostituito per sfociare in un rapporto amoroso convenzionale e, magari, istituzionalizzato.

È questo il senso dell’aria che Germont padre rivolge al figlio Alfredo per indurlo a rinunciare alla sua infatuazione e ricondurlo a ragione. A questo scopo ricorre ad argomenti e sentimenti di efficace retorica, a cominciare dal senso di Patria e delle radici che sono appunto in Provenza (“il natio fulgente sol”). E si appella, ancora, al sentimento di famiglia (“il tuo vecchio genitor… di squallor il suo tetto si coprì”) e infine al sentimento religioso (“Dio mi guidò”, Dio m’esaudì”).

Il destino catartico di Violetta e Mimì

Ah! il tuo vecchio genitor
tu non sai quanto soffrì!
Te lontano, di squallor
il suo tetto si coprì.
Ma se alfin ti trovo ancor,
se in me speme non fallì,
Se la voce dell’onor
in te appien non ammutì,
Dio m’esaudì!

L’esito, nei melodrammi, è quasi sempre una tragedia, con funzione catartica: la morte della protagonista. In questo caso arriva, diciamo provvidenzialmente, l’aggravarsi della tisi, un male tanto in voga in quegli anni sia sui palcoscenici (ne muore anche Mimì nella Bohème), sia nella vita vera. La tisi, infatti, falciava numerose vite umane prima della scoperta della penicillina.

Così Verdi nell’ultimo atto 'purifica' Violetta. Ella paga il suo peccato non prima, però, che chiarezza sia fatta su vicende ambigue che ella stessa ha accettato pur di salvare l’onore del suo innamorato rinunciandovi.

Nell’atto finale, quindi, oramai chiare trame e sentimenti, tra le braccia del suo Alfredo, Violetta riscattata può morire.

Franca Grosso