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Caro Theo, che posso fare in campagna?

Caro Theo, che posso fare in campagna?

Due anni dopo aver scritto al fratello queste parole, Vincent Van Gogh si trasferisce in Provenza.

Nel febbraio del 1888 Vincent Van Gogh si trasferisce da Parigi ad Arles. Da qui il 9 aprile riprende, dopo una pausa di due anni, la sua fitta corrispondenza con Theo, suo fratello minore di 4 anni. Nell’ultima lettera che gli aveva scritto da Anversa aveva dichiarato di voler restare in città per proseguire i suoi studi e “lavorare da Verlat o in qualche altro studio oltre a lavorare da solo, il più possibile con una modella”.

Aveva il timore che la sua vena artistica in campagna potesse perdere consistenza: “E che posso fare in campagna, a meno di non andarci con il denaro per modelle e colori? Non c’è alcun modo, nessuno di guadagnare, se lavoro in campagna, mentre in città una probabilità del genere esiste”.

Altro tema che lo accompagnerà sempre nella sua vita e, di conseguenza, nel suo epistolario, è il disagio per l’indigenza con cui è costretto a fare continuamente i conti. Già ad Anversa Scriveva infatti “Ogni giorno dimagrisco di più e inoltre i miei abiti stanno diventando troppo lisi e così via. (...) Vorrei avere più agio, per evitare la malattia”. Un presagio, una premonizione, una sensazione certo non facile da ignorare.

L'aria di qua mi fa decisamente bene

L’aria di qua mi fa decisamente bene, ne auguro anche a te a pieni polmoni.

Dopo due anni da questa lettera le cose prendono una piega tale che Vincent, nella primavera del 1888, si sposta in Provenza e vi resterà fino al 1890. Nella prima lettera provenzale, del 9 aprile, già nelle prime frasi c’è la sua soddisfazione per la decisione presa.

Ed anche la sua salute sembra migliorare. Anche l’alcool, per effetto di quell’aria, sembra diventato meno minaccioso: “è molto strano uno dei suoi effetti; qui un unico bicchierino di cognac mi rende brillo, dunque non facendo neppure ricorso a stimolanti per aiutare la circolazione del sangue la mia salute si logorerà meno”.

Vedrai da solo che i peschi in fiore sono stati dipinti con una certa passione.

E i suoi dubbi che in campagna l’ispirazione della sua arte avrebbe potuto risentirne sono venuti meno. Ha trovato soggetti straordinariamente belli e naturali. “Sono di nuovo in pieno lavoro, sempre frutteti in fiore.” “Ho un nuovo frutteto, che è bello come un pescheto rosa, sono degli albicocchi di un rosa molto chiaro. Attualmente lavoro a degli alberi di prugne di un bianco giallo con un’infinità di rami neri”.

Mi occorre anche una notte stellata

Ma Vincent è consapevole anche delle sue ispirazioni future, una coscienza visionaria, come lo sono quelle dei veri artisti: “Tu sai che nel mio lavoro sono volubile, e che questa furia di dipingere frutteti non durerà sempre”. Nella sua mente c’è già la visione chiara di altri quadri non ancora realizzati e che però noi consociamo bene: “Mi occorre anche una notte stellata con dei cipressi, oppure sopra un campo di grano maturo; abbiamo delle notti molto belle qui, e io ho una continua febbre di lavoro”.

Come dargli torto? La natura della Provenza è di per sé stessa un capolavoro. Il genio di Vincent l’ha trasfigurata per trasmettercela con la sua sensibilità e il suo talento ineguagliabile, purtroppo incompreso dai contemporanei. Dei 1.500 disegni e 850 dipinti realizzati nella sua breve vita, di cui 150 tele realizzate solo nei mesi trascorsi all’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy, infatti, ne venderà solo uno.

Genio creativo, pennelli e parole

La corrispondenza di Vincent Van Gogh ci restituisce pezzi del suo sofferto vissuto, pensieri sulla sua pittura e sul senso dell’arte. Ma è anche molto di più: è anch’essa espressione del suo genio creativo, non con pennelli e colori ma con parole. Del suo epistolario si conoscono 844 lettere. Suo interlocutore principale e prediletto il fratello Theo. Le 650 lettere che costituiscono questo epistolario furono raccolte dalla moglie di Theo, Johanna Bonger che, rimasta vedova dopo la morte di Theo, avvenuta sei mesi dopo la morte di Vincent, si dedicò alla cura di questo carteggio e successivamente alla pubblicazione.

L’editore Guanda ne ha pubblicato un’edizione delle Lettere a Theo nei Tascabili, giunta nel 2016 alla sua ottava edizione curata dal Massimo Cescon. Molto interessante anche il saggio introduttivo (scritto del 1922) di Karl Jaspers che, in quanto psichiatra e filosofo, amplia lo spettro delle riflessioni anche a quelle di natura specialistica, ma non solo.

Da leggere, se volete immergervi nell’arte di Van Gogh e nella “sua” Provenza. Se invece volete immaginare cosa provò Johanna aprendo la valigetta, sacra per Theo, che custodiva le lettere del fratello Vincent, lasciatevi traportare da La vedova van Gogh, di Camilo Sánchez (edito da Markos y Markos e tradotto dallo spagnolo da Francesca Conte).

Franca Grosso

Van Gogh, Lettere a Theo, Guanda